La messa in opera di questa linea ha attraversato problemi di progettazione e di realizzazione, coinvolgendo anche allora delicati equilibri politici.
L’arrivo della ferrovia a Ceva modificò radicalmente la conformazione dei terreni che si estendevano ai piedi della Rocca del Forte e della collina detta Baglione. Benché per buona parte piuttosto scoscesi, questi rappresentavano una delle superfici coltivabili più vicine al centro abitato ed erano soprattutto piantati a vigneti, sovrastanti l’ultimo tratto del torrente Cevetta, prima della sua confluenza nel Tanaro. La zona fu oggetto di massicci interventi di sbancamento che compromisero parzialmente la produttività agricola di alcuni cascinali lì intorno e l’attività di una fornace che fu presto dismessa.
Nel tempo più volte si convenne sull’infelice scelta del sito, in quanto chiuso da un fianco dalle rive del sistema collinoso del Forte e da quelle adiacenti e dall’altro dal corso del torrente. Ciò consentì solamente un modesto sviluppo dell’edilizia urbana, ma non l’impianto di attività industriali e dei relativi servizi accessori. Pareva lecito e facile auspicare che, con l’avvento della rete ferroviaria, si sarebbe potuta creare una situazione tale da indirizzare l’economia della città verso un elevato livello di benessere. La costruzione della stazione in un posto dove era preclusa ogni necessaria possibilità di grande espansione e più tardi il mancato prolungamento della tratta dell’Alta Val Tanaro fino ad Oneglia o ad Albenga, che impedì uno sbocco diretto sulla costa occidentale della Liguria, furono però di indiscutibile nocumento per far diventare Ceva un centro popoloso ed industriale di prim’ordine, un polo di attrazione per il Piemonte meridionale. Fu così che, nonostante la sua strategica posizione geografica, che nei secoli l’aveva resa importante, la città dovette accontentarsi di fungere da rilevante punto di transito ed incrocio di più linee, demandando alle attività agricole, artigianali, commerciali e mercatali la funzione di principali fonti di reddito per i suoi abitanti.
Dopo la Torino-Genova inaugurata nel febbraio del 1854, si prospettava la realizzazione di una seconda linea che da Torino raggiungesse il litorale ligure. Pietro Paleocapa (1788-1869), ministro dei Lavori Pubblici del Regno di Sardegna, che poteva contare sul sostegno del primo ministro Camillo Benso conte di Cavour (1810-1861), ne fu il massimo fautore. Dopo anni di proposte, discussioni, rinvii, pareri di commissioni, nel 1858 si scelse il progetto dell’ingegner Amedeo Peyron (1821-1903), che prevedeva un tragitto che partiva dalla capitale del regno e raggiungeva Savona passando per Carmagnola, Bra, Carrù, Ceva, Cengio, San Giuseppe. L’affidamento dei lavori venne fatto a lotti, realizzati in più fasi. Alla società francese Gombert e a quella inglese Lammy-Murray, inizialmente concessionarie, subentrò nel 1868 l’impresa Israele Guastalla & C. con sede a Torino. Tra ritardi, ricorsi, interpellanze parlamentari, ingiunzioni, concessioni di proroghe, multe, l’opera giunse finalmente a compimento. Il 26 settembre 1874 venne effettuato il viaggio inaugurale con migliaia di persone acclamanti lungo tutto il percorso. Le stazioni furono addobbate a festa con cerimonie, rinfreschi, concerti ed accoglienze entusiastiche, per sottolineare la solennità dell’evento.
A Ceva il convoglio, composto da dodici vetture di prima classe, stracolmo di viaggiatori, autorità civili e militari, giornalisti, imprenditori, progettisti sostò venti minuti e alla ripartenza fu salutato da oltre duemila persone, con scoppi di mortaretti, mentre la banda musicale cittadina intonava la marcia reale.
Il fabbricato viaggiatori che venne costruito a Ceva in origine riprendeva un modello utilizzato per molte altre stazioni, sviluppato su due piani. Nella facciata verso la strada di accesso vi era un porticato a tre arcate. A questo fabbricato se ne aggiunse presto un secondo, utilizzato per deposito merci e bagagli, consistente in un’ala porticata, inizialmente aperta su due lati e in seguito chiusa con una tamponatura in legno, che proponeva uno stile decorativo tipico di località di villeggiatura montana. Di fianco a questi, in una costruzione con un unico piano, aveva trovato collocazione il buffet. Sul fianco opposto venne realizzato un piano caricatore, mentre di fronte, al di là dei binari sul lato del piazzale adiacente alla collina, si costruirono altre strutture di servizio: due rimesse, una piattaforma girevole per locomotori, un magazzino. La lunghezza del rettifilo orizzontale del piazzale era di 358 metri.
Contemporaneamente era stata creata una nuova strada che da dietro l’ospedale si dipartiva da quella per Murazzano e correndo praticamente parallela ai binari raggiungeva la stazione.
Un grosso apporto allo sviluppo delle ferrovie piemontesi e liguri in quel periodo venne anche dato dall’avvocato Ferdinando Siccardi, prima sindaco di Ceva, poi deputato e senatore per diverse legislature.
Nel 1885 iniziarono i lavori della Ceva-Ormea, una ferrovia dalle caratteristiche proprie di una linea che si sviluppa in zona submontana, con una scelta di tracciato pressoché obbligato che percorre il fondovalle seguendo l’andamento del Tanaro. A suo tempo fu considerata una specie di “premio di consolazione”. Infatti, nonostante le energie profuse dall’onorevole Giuseppe Basteris (1829-1895) di Bagnasco, sulla base delle proposte formulate dal senatore conte Carlo Ilarione Petitti di Roreto (1790-1850) fin dal 1846 ed anche col sostegno di Camillo Benso di Cavour per una linea che dal Piemonte raggiungesse Oneglia attraverso l’Alta Val Tanaro, il Consiglio delle Strade Ferrate del Ministero dei Lavori Pubblici aveva optato per altre soluzioni per raggiungere la Riviera di Ponente (Torino-Savona e Cuneo-Nizza). Il primo tronco da Ceva a Priola venne inaugurato nel 1889, il secondo da Priola a Garessio nel 1890, il terzo da Garessio a Trappa nel 1891, l’ultimo da Trappa a Ormea nel 1893. Furono numerosi nei decenni successivi i tentativi di pervenire ad un prolungamento della tratta fino al mare, anche con la variante da Garessio ad Albenga, ma si rivelarono tutti infruttuosi e la Ceva-Ormea, totalmente elettrificata nel 1937, rimase una linea cosiddetta “economica” a servizio delle popolazioni locali.
Il terremoto del 1887 lesionò leggermente la stazione di Ceva. Verso fine secolo erano già evidenti le mancanze di peculiarità proprie di uno scalo ferroviario di 1ª classe, mancando locali idonei per i viaggiatori, per le merci e spazi indispensabili per il personale.
Nel 1912, ad opera dell’impresa Bagnasco Giuseppe di Cengio venne costruita ed installata, sul lato interno del piazzale verso Lesegno, una piattaforma girevole per locomotori più grande della precedente e nelle immediate adiacenze, dove si ammassava anche il carbone, fu costruito un gigantesco serbatoio cilindrico in cemento armato per l’acqua con cui si rifornivano le vaporiere. Intanto, un paio di centinaia di metri più a ovest ai piedi della Rocca un tempo detta degli Scalavrippi (Scåřavidz), era stata costruita la sottostazione elettrica per la trasformazione dell’energia e l’alimentazione di un tratto della linea verso Savona che fu elettrificata nel biennio 1913-1914.
Nel 1929, dopo decenni di lamentele e richieste da parte delle amministrazioni locali e reiterati interventi di sollecito dei parlamentari della zona, venne edificato il nuovo fabbricato passeggeri ad ovest del precedente. L’edificio, lungo 60 metri e largo 14, fu fatto poggiare su 105 pali di fondazione che raggiungevano una profondità di 14 metri ed erano collegati da travi in cemento armato da cm 90x60. Appaltatrice dei lavori fu l’impresa Realini & Ciravegna di Altare.
In previsione del completamento della linea Fossano-Mondovì-Ceva, si assegnò all’impresa Magnaghi & Bassanini di Milano la realizzazione di imponenti opere di ampliamento del piazzale attraverso lo sbancamento di 120.000 metri cubi di terreno alla base dei declivi adiacenti, con l’innalzamento di adeguati muri di sostegno ed il contestuale abbattimento di tutte le strutture preesistenti.
Contemporaneamente vennero costruiti: un dormitorio per i macchinisti ed il personale viaggiante, una rimessa leggera con quattro binari di accesso per il deposito e la lubrificazione dei locomotori, un fabbricato con otto alloggi per famiglie di ferrovieri che divennero poi dieci nella metà degli anni Cinquanta e una serie di strutture accessorie (nuovo scalo merci, officine, magazzini, servizi igienici, sottopassaggi). Quasi alle estremità del piazzale vennero realizzate due cabine (cabina A lato Lesegno, cabina B lato Sale Langhe) da dove i deviatori agivano sugli scambi, richiedendo e concedendo il via libera di blocco elettrico (distanziamento dei treni).
Il 28 ottobre 1933 si inaugurò la linea Fossano-Mondovì-Ceva. Si venne così a completare la direttissima Torino-Savona, con aumento della velocità, sicurezza, accorciamento del percorso ed indubbio giovamento per i rapporti industriali e commerciali tra il Piemonte e la Liguria occidentale, con il conseguente intensificarsi dell’attività commerciale del porto savonese. Le considerevoli opere di ampliamento per l’innesto della nuova linea nell’ambito del piazzale della stazione di Ceva furono eseguite dall’impresa Ellena, Manassero & Turbiglio di Mondovì. L’anno successivo la linea venne completamente elettrificata e furono costruite dinnanzi al fabbricato viaggiatori le pensiline per il riparo dei passeggeri in attesa lungo i binari.
Il fabbricato viaggiatori è di stile monumentale, tipico dell'epoca fascista. Consiste in una elegante struttura di due piani, caratterizzata dall'avanzamento del corpo centrale e delle due estremità, a simulazione di un edificio a corpo centrale a padiglioni. Si sviluppa su due piani, con i locali destinati ai viaggiatori, il bar e tutti i servizi connessi al traffico ferroviario al piano terreno, mentre al primo piano, ora inutilizzato, si trovavano gli alloggi per il personale dirigente e gli uffici per il personale viaggiante, quelli del reparto movimento di Ceva e del Dirigente Unico, trasformatosi poi in Dirigente Centrale Operativo. I prospetti sono scanditi da sequenze ordinate di finestre, con il piano inferiore tinteggiato di grigio e quello superiore in origine di colore giallo ocra chiaro e dalla fine degli anni Sessanta di bianco. Nello specifico il corpo centrale e le due estremità dalla facciata sono trattate al piano terra con un finto bugnato e al primo piano con un ordine architettonico di lesene che scandisce il fronte. Qui, sopra il cornicione del tetto, emerge un frontone al centro del quale si trova il quadrante in vetro dell'orologio. Man mano che ci si allontana dal corpo centrale le superfici del fronte sono trattate con un minor dettaglio della decorazione, infatti al piano terra si trova un finto bugnato liscio e al primo piano scompaiono le lesene. Le bucature del piano terra consistono in una sequenza di porte vetrate divise in specchiature e sormontate da un sopraluce e conservano il disegno originale del periodo di costruzione, così come all’interno la vetrata della biglietteria. Nella sala d’aspetto, ristrutturata di recente, fa bella mostra di sé un grosso affresco inquadrato raffigurante dei treni, opera del 1999 del celebre artista cebano Tanchi Michelotti.
Dal 1937, il signor Pietro Benedetto acquisì dalle Ferrovie dello Stato la concessione per l’esercizio del caffè ristoratore annesso alla stazione, prima gestito dal cavalier Ugo Sampò, mantenendola fino al 1961. Egli creò il famoso “panino con la frittata”, preparata con una tipica ricetta, che veniva venduto ai passeggeri durante la sosta dei treni, con l’ausilio dei caratteristici carretti portavivande. In quel periodo la frittata del Buffet della Stazione regalò a Ceva una indubbia notorietà in termini di prestigio gastronomico, che si mantenne con i successivi gestori e ancor oggi è ricordata come significativo elemento della tradizione culinaria locale.
Negli ultimi tempi la stazione e la ferrovia in genere si sono avviate verso una fase di decadimento, avendo risentito più che altrove di alcune problematiche emergenti a livello generale relativamente al traffico su rotaia, come la riduzione del numero delle corse, la ridotta competitività rispetto al trasporto su gomma, l’obsolescenza delle infrastrutture a causa del dirottamento dei finanziamenti su altre tratte, la mancanza dei raddoppi di binario in alcuni punti chiave del territorio piemontese e ligure. Ciò comporta difficoltà ad avvicinare le aree produttive ed industriali e a meglio servire i movimenti turistici verso il litorale marino. Anche le calamità naturali sono intervenute ad alimentare la situazione di precarietà, come l’alluvione del 1994 che causò la non più apertura della linea Ceva-Bra ed altre di carattere economico, come il programma statale di soppressione graduale delle linee e degli impianti definiti passivi, che ha portato alla soppressione nel 2012 della tratta verso Ormea. I quasi quattrocento ferrovieri che si contavano sull’area di pertinenza della stazione, fino a non più di tre decenni fa, ora sono ridotti a poco più di un decimo, con pesanti ricadute negative sull’economia del territorio ed incentivazione dell’emigrazione e dello spopolamento dei paesi. Di conseguenza quella che era una delle strutture urbane più vitali e dinamiche sembra desolatamente destinata a rimanere tale solo nel ricordo della gente.